Nel mare ci sono i coccodrilli by Fabio Geda

Nel mare ci sono i coccodrilli by Fabio Geda

autore:Fabio Geda [Geda, Fabio]
La lingua: ita
Format: epub, azw3, mobi
pubblicato: 2012-04-03T07:55:17+00:00


Un poliziotto ci aveva fatti sistemare in fila contro un muro e stava passando a controllare che tutti avessimo svuotato le tasche e quando vedeva qualcuno comportarsi in modo strano, oppure muoversi senza permesso o fare quella faccia estranea - avete presente? - la faccia di uno che ha qualcosa da nascondere eccetera, gli andava vicino, naso contro naso, sputava minacce e pezzi di cena, e se le minacce e gli sputi non bastavano passava agli schiaffi o al calcio del fucile.

Arrivato a me ha fatto per passare oltre, poi si è fermato ed è tornato indietro. Mi si è piazzato di fronte, gambe divaricate. Ha chiesto: Cos’hai? Cosa nascondi? Era trenta o quaranta centimetri più alto di me. L’ho guardato come si guarda una montagna.

Nulla.

Stai mentendo.

Non sto mentendo, jenab sarhang.

Vuoi che ti dimostri che stai mentendo?

Non sto mentendo, jenab sarhang. Lo giuro.

Credo di sì, invece.

Ecco, se c’è un cosa che non mi piace è essere picchiato, quindi, avendolo visto picchiare gli altri, ho pensato che potevo accontentarlo, in qualche modo. Nella cintura, in un taglio fatto da me, avevo due banconote di riserva. Le ho prese e gliele ho date. Speravo fosse sufficiente.

Lui ha detto: Hai qualcos’altro, vero?

No. Non ho nient’altro.

Mi ha tirato uno schiaffo. Ha centrato la guancia e l’orecchio. Non l’avevo nemmeno vista partire, la mano. La guancia ha preso fuoco, l’orecchio ha fischiato per alcuni secondi, poi ho avuto l’impressione che si stesse gonfiando come una focaccia. Stai mentendo, ha detto.

Gli sono saltato al collo, gli ho morso una guancia, gli ho strappato i capelli…

No: gli ho mostrato il polso.

Ha fatto una smorfia di delusione. Non valeva nulla, per lui, quell’orologio. Lo ha sganciato seccato e se lo è infilato in tasca, senza rivolgermi uno sguardo.

Ci hanno lasciato andare.

Li ho sentiti ridere nella luce scarna del mattino.

Passata quella dogana abbiamo camminato per alcune ore verso la città più vicina, ma ormai era chiaro che qualcosa non stava andando per il verso giusto. Infatti, a un certo punto, è spuntata una macchina, una camionetta della polizia, facendo schizzare le pietre con le ruote, e i poliziotti sono scesi di corsa urlando: Fermatevi. Ci siamo messi tutti quanti a correre. Loro hanno cominciato a sparare con il fucile mitragliatore, il Kalasnikov. Correvo e sentivo le pallottole fischiare.

Correvo e pensavo ai tornei di aquiloni sulle colline della provincia di Ghazni.

Correvo e pensavo alle donne di Nava che mescolavano con un mestolo di legno il qhorma palaw. Correvo e pensavo a quanto sarebbe stato utile in quel momento un buco, un buco nella terra, come quello in cui ci nascondevamo io e mio fratello per non farci trovare dai talebani. Correvo e pensavo a osta sahib e a kaka Hamid e a Sufi e al signore dalle mani grandi e alla casa carina di Kerman. Correvo e mentre correvo un signore accanto a me è stato colpito, credo, è rotolato a terra e non si è più mosso. In Afghanistan avevo sentito tanti spari. Sapevo distinguere il suono del Kalasnikov da quello degli altri fucili.



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